Mi piacerebbe iniziare questa riflessione sull’operato artistico di Fiorenzo Zaffina con una domanda assolutamente aperta e proponibile non solo al fruitore dei lavori di questo artista: “Di fronte a un ostacolo, fisico o mentale che sia, qual è l’atteggiamento più istintivo? Tentare l’avanzamento verso ciò che ci è sconosciuto, superandolo, oppure abbandonare e cercare un percorso meno irto di incognite e difficoltà?”. Credo che la reazione potrebbe essere varia e comunque prevederebbe il responso di avventurosi e di meno coraggiosi delimitando comunque la prevedibile reazione di causa ed effetto di fronte a una barriera non solo di tipo fisico ma anche di tipo concettuale. L’approccio che si sceglie comunque comporterebbe una scelta, la stessa che ha “permesso” a Fiorenzo Zaffina di addentrarsi, e non mi riferisco solo all’atteggiamento iniziatico e propulsivo del suo “operare”, nel luogo misterioso per eccellenza, ovvero quell’aldilà, quella zona morta in cui altri desideri, altre dimensioni, altri spazi si innescano e si avviluppano oltre ciò che “normalmente” vediamo e percepiamo.
Affrontando l’incognita dell’atto di scavare, scorticando la “prima pelle” di una superficie spesso ostile, il nostro artista affronta metaforicamente l’enigma del nostro presente smitizzando il mistero del non visibile e presentando a noi spettatori il rebus racchiuso nelle coppie dialettiche dei contrari, che in questa era post moderna muovono e interagiscono contrastandosi ma nel contempo equivalendosi.
Nascondere/scoprire, interno/esterno, vuoto/pieno, attrazione/repulsione sono alcune delle possibili tensioni concettuali innescate dall’intervento di Zaffina, che aprendo letteralmente le pareti dello spazio prescelto apre nuovi varchi oltre la superficie, scorticando intonaci, rivelando parti dei materiali edilizi utilizzati per erigere le suddette pareti, relazionandosi con il significante e il significato di un luogo che assume le sembianze poliedriche di un’interfaccia virtuale. Entrare nella multidimensionalità d’intervento di questo artista significa capovolgere i rapporti interni non solo allo spazio scelto ma anche alle possibili reazioni e sensazioni scaturite da tale meccanismo, consapevoli, nonostante la “regressione” partecipativa del ruolo attivo dell’artista e di quello inizialmente passivo del fruitore, di trovarsi dinanzi a una simbolica “mappa del tesoro ritrovata” attraverso la quale addentrarsi in luoghi sconosciuti in balia di una riscoperta dimensione metafisica.
Addentrarsi nelle interfacce murali presentate, comporta così un susseguirsi incalzante di nuove sensazioni date per eccesso e difetto, tali da permettere non solo a colui che aziona tale procedimento ma anche a coloro che, quasi mossi da una delicata perversione, si “infilano” in un luogo che diverrà tale solo nell’istante in cui la fantasia e l’abbandono si saranno impadroniti del controllo del nostro inconscio.
A colpi di martello e scalpello Fiorenzo Zaffina diviene un’archeologo del presente, pronto a rivelare quel mondo misterioso, ultravisibile di cavità naturali che trasmutano la propria identità di partenza in cavità artificiali grazie all’intervento del nostro artista, permettendo poi la reazione e la successiva relazione fra ciò che non sappiamo di vedere ma che comunque esiste non solo come presenza materica, tangibile e concreta, ma anche come presenza ultraterrena di una dimensione “altra” soggetta a mutazioni di stato al limite del simulacro e del feticcio riscoperto.

di Fabiola Naldi